Covid-19: ci sta chiamando tutti non solo ad una grande prova medica, ma soprattutto emotiva.
Ciascuno di noi sta scrivendo una pagina epocale della storia di questo paese e mondiale.
Durante il corso delle mie giornate più volte il mio pensiero è rivolto ai colleghi e agli operatori in prima linea, ai turni massacranti a cui si stanno sottoponendo, a quelle corse contro il tempo, alle condizioni in cui stanno lavorando, ai dispositivi, cosiddetti di protezione che al contempo annullano qualsiasi tipo di bisogno…
A loro va tutta la mia stima, la mia riconoscenza e il mio urlo di forza!
E poi il mio pensiero va lì … a chi perde la vita senza (neanche) la solennità della morte.
Dalle riflessioni di una collega leggevo: “ la cosa brutta delle malattie infettive è che muori senza carezze. Sei curato da persone mascherate. E una volta morto nessuno ti posa la mano sulle mani o sulla fronte.”
La situazione è seria bisogna avere cura del dolore, di ogni cittadino che sta nel dolore.
Io mi occupo di salute mentale.
Cerco di fare quello che posso, il meglio che posso.
Supporto i miei pazienti e rifletto con loro… in fondo ognuno di noi può prendersi cura dell’altro e l’unico modo per sopravvivere e non solo al virus, è riuscire a dare qualcosa di sé agli altri.
Impossibile non intravedere in questo tsunami – a caro, carissimo prezzo dei valori che forse stavamo perdendo…
Mi risuona la parola “Stare” (vedi anche il decreto anticoronavirus “Stare a casa”) ci implora di fermarci.
Impossibile pensare che sia un caso…
In una società come la nostra, dove la corsa era continua, inarrestabile e il tempo a casa, era solo una “brutta eccezione” magari per malattia.
Ed ecco che è arrivato lo stop. Per tutti.
Dobbiamo imparare a fermarci, a sentire e a vivere quel tempo, senza fuggire. Ciascuno di noi deve rivedere le priorità.
È proprio vero che nessuno si salva da solo.
In queste ultime settimane tutti abbiamo sentito il senso della responsabilità sociale, la responsabilità condivisa, il sentire la reciprocità delle azioni, quel sapere che dalle tue dipendono gli altri, così come tu dipendi dagli altri.
Avvertiamo preoccupazioni per le persone che conosciamo, solidarietà per quelle che non conosciamo, riceviamo telefonate a sorpresa in orari insoliti, piccole e reciproche premure familiari, messaggi da chi non ci aspettavamo.
Oggi ci pesa infinitamente quella distanza di sicurezza, quel non potersi stringere la mano, baciarsi, abbracciarsi…
E in una dimensione in cui le relazioni erano per lo più virtuali, si stava in rete, senza per questo riuscire a percepire la distanza dei corpi… fa pensare.
È un momento difficile, difficilissimo, ma per certi versi è straordinario.
Qualcuno lo diceva…
per rinascere, bisogna un po’ morire.
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